DiEster Varchetta / BlogNews / 0 Commenti

Che lavoro faranno i ragazzi che stanno frequentando la scuola? I bambini che quest’anno inizieranno le elementari, che cosa faranno tra 20 anni? Che cosa diventeranno? Come si svilupperanno, come cambieranno le professioni nel prossimo futuro?

E’ sconcertante, ma le risposte a queste domande non le abbiamo. Lo sviluppo tecnologico è talmente veloce che non sappiamo quali e come saranno le professioni ed i professionisti del futuro. Ad esempio il medico di oggi sarà molto diverso da quello di domani. Le tecnologie stanno mutando, sempre più velocemente, il nostro modo di vivere e il mondo del lavoro.

Di fronte a tutto questo mutamento come re-agisce o agisce la scuola italiana? Cosa sta dando in più o di diverso rispetto alla scuola di 50 anni fa? Purtroppo sembra non molto, a parte l’introduzione di tecnologie come la LIM, videoproiettori e tablet. Dal punto di vista didattico, che cos’è veramente cambiato? La didattica attuale risponde effettivamente alle esigenze dei bambini e ragazzi di oggi, che domani affronteranno un mercato del lavoro ancora sconosciuto?

Chi è al centro del processo di apprendimento, l’insegnante o lo studente?

Alcuni professori, in particolare faccio riferimento ad una lezione tenuta dal Prof. Vittorio Midoro su “Docenti nell’Era Digitale”, denunciano fortissimi limiti da parte dei giovani nella capacità di utilizzare le tecnologie, ad esempio, per ricercare informazioni, per collaborare nella realizzazione di un progetto, per condividere esperienze e per comunicare. Tutt’oggi l’apprendimento sembra essere il risultato di una comunicazione che va da chi sa’ a chi non sa’. Infatti, nelle classi la disposizione dei banchi presuppone che ci si rivolga all’insegnante come 100 anni fa. Basta fare una ricerca di vecchie fotografie e si noterà che la disposizione dei banchi negli anni non è cambiata (a parte in alcuni rari casi dove i banchi vengono disposti a ferro discuola 4cavallo). L’organizzazione dello spazio prevede ancora una comunicazione unidirezionale, quindi una scuola centrata sull’insegnamento e non sull’apprendimento degli studenti.

Quali ripercussioni ha questa modalità di gestire la didattica? Quali scopi si prefigge la scuola?
Considerato che non basta più saper leggere, scrivere e memorizzare informazioni, ma bisogna acquisire competenze per essere “digital literacy”, quindi scuola studente 2essere capaci di utilizzare i nuovi media ed operare per mezzo di essi, ricercando e producendo informazioni in modo efficiente ed efficace, condividere, comunicare e cooperare. Pertanto è indispensabile sviluppare ed allenare sin da subito la capacità di interagire con l’altro e costruire nuovi significati.

La conoscenza nella scuola viene spezzettata incurricula, in moduli didattici, perdendo così la possibilità di creare, ricercare, nuove connessioni con un approccio verso la scoperta e la costruzione della conoscenza. Al centro troviamo le “materie”, non lo studente che apprende. Nelle classi, spesso, gli studenti si danno le spalle, spesso non si prevedono spazi comuni di interazione e scambio, sia in presenza che a distanza, in collegamento con paesi vicini e lontani, ed ancora:

  Scuola centrata sul docente Scuola centrata sul discente
Concetto di conoscenza Accumulazione di informazioni/fatti.
Quantità.
Trasformazione di informazioni e fatti
Dimostrazione di successo Riferiti a una norma Qualità della comprensione
Valutazione Interrogazioni e prove scritte Valutazione formativa
Uso della tecnologia Presentazioni, studio testi, esercizi Partecipazione, collaborazione web 2.0
Attività in classe Centrata sull’insegnante à curricula Centrata sul discente à interattività
Ruolo insegnante Espositore di fatti.
Colui che porta la conoscenza.
Collaboratore.
Colui che crea le condizioni per…
Progettista
Enfasi istruzione Memorizzazione di fatti Relazioni, indagini ed invenzioni
Liberamente tratto dai materiali del Prof. Vittorio Midoro, Lezione su “Docente nell’era digitale”

In tutto questo processo è fondamentale il ruolo dell’insegnante, ma qual è il profilo degli insegnanti nell’era digitale? A tal proposito, sono state svolte delle ricerche a livello Europeo i cui risultati sono stati raccolti in questi due testi “Europeanscuola studente1 Teacher Towards the Knowledge Society” e “A Common European Framework for Teachers’ Professional Profile in ICT for Education”. In particolare, nell’ultimo testo citato, si propone un profilo di docente capace di far interagire quattro aree: self (se stesso – una visione della scuola), gli studenti (pupils), colleghi (collegues) ed ambiente (enviroment). Il docente/insegnante nell’era digitale è colui che crea le condizioni, progetta ambienti di apprendimento, per favorire la crescita e l’apprendimento degli studenti, non segmentando più la conoscenza ma promuovendone connessioni equilibrate tra processi (modelli, teorie, idee…) e sistemi (libri, applicazioni informatiche…), quindi tra individuo (che apprende), ambiente sociale e ambiente biofisico… “Ambienti di apprendimento” dove l’individuo possa sviluppare una propria identità e costruire, attraverso un lavoro cooperativo, conoscenze e significati sempre nuovi.

By Dott.ssa Ester Varchetta

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Che cos’è una comunità di pratica? Una comunità di pratica è un insieme di individui mutualmente impegnati per il raggiungimento di un’impresa comune, attraverso l’utilizzo di un repertorio condiviso. Questi elementi (individui, impresa comune, repertorio condiviso) entrano in attività producendo un output che consente alle persone impegnate nel proComunicare effgetto di apprendere, imparare qualcosa di nuovo oltre che arricchire il repertorio condiviso e produrre un oggetto in base alla finalità della stessa impresa comune. Per far sì che la comunità di pratica abbia successo, è necessario che vi sia un mutuo impegno da parte di tutti gli individui coinvolti. Che cosa significa? Ognuno viene riconosciuto all’interno della comunità come portatore di abilità specifiche e diverse, ognuno assume un ruolo con determinate finalità. Abilità e ruoli diversi entrano in gioco in un lavoro cooperativo, sentendo tale impresa come propria. Ogni individuo è ritenuto essenziale per la realizzazione dell’impresa comune.

Come affermato da Wegner una pratica deve essere motivante. Come possiamo renderla tale? È necessario negoziarne il significato all’interno dell’intera comunità. Aver chiaro il significato della pratica quotidiana è fondamentale per essere motivati ad agire all’interno del gruppo. Ma che cosa si fa in concreto in una comunità di pratica? Si partecipa attivamente e si è presenti. Tale partecipazione porta alla produzione attraverso processi di reitificazione.

Quale vantaggio avrebbe un’organizzazione strutturata come una “comunità di pratica” rispetto ad altri tipi di organizzazioni?

  • Le persone sarebbero motivate e parteciperebbero attivamente ai processi e alla “costruzione di significati”, azzerando la sensazione di non appartenenza che spesso le persone hanno in azienda (distanza tra ciò che viene prodotto e l’attività svolta).
  • L’azienda sarebbe portata ad innovarsi e rinnovarsi, avendo il supporto proattivo delle persone che la compongono.
  • La comunicazione sarebbe circolare.
  • Il clima sarebbe positivo.
  • Ognuno si sentirebbe parte di “qualcosa” che, a “livello meta”, aiuta a dare significato alla propria vita, integrando così il “lavoro” e ciò che viene fuori dal contesto lavorativo.

Concludo con una domanda: quali caratteristiche dovrebbe avere un “Leader” in un’organizzazione progettata come comunità di pratica?

DiEster Varchetta / BlogNews / 0 Commenti

Nell’ultimo periodo, per potermi migliorare, ho iniziato a seguire dei video tutorial di nuotatori professionisti, per circa 10/15 minuti prima di andare in piscina discover this info here. Quando non mi prendo questo momento di preparazione, ho notato che faccio molta più fatica a nuotare, in particolare nella fase di riscaldamento. E’ come se attraverso la visualizzazione del video, la mia mente, ed anche il mio corpo, iniziassero ad allenarsi, a riscaldarsi, a prepararsi a nuotare anche se ancora non sono in vasca. Com’è possibile che senta questa grande differenza? 
La risposta l’ho trovata nella teoria dell’embodied cognition che si basa sulla “simulazione motoria“, un meccanismo cognitivo-mentale, che porta all’attivazione del sistema senso-motorio nel momento in cui osserviamo un oggetto anche se non si compie direttamente l’azione. Tale processo ha base neuronale, infatti coinvolge i neuroni specchio (neuroni premotori che si attivano, scaricano, durante l’esecuzione di azioni e durante l’osservazione di azionimagesi eseguite da altri). I neuroni specchio danno la possibilità di accedere agli stati mentali altrui in modo diretto con un meccanismo di risonanza motoria. Gli studiosi ci dicono anche che l’apparato senso-motorio si attiva in modo tanto più congruente quando osserviamo delle azioni che conosciamo o che siamo abituati a vedere anche se compiute da altri. Nel mio caso, mentre guardo un video che mostra una persona nuotare, la mia mente simula quell’azione, riproducendola in modo attivo, iniziando così un vero e proprio riscaldamento, forse quello più importante.
Il nuoto, come molti altri sport, necessita di concentrazione, intenzione e motivazione per essere eseguito in maniera ottimale e con la giusta propensione mentale.

Il processo descritto, può essere applicato anche in tantissime situazioni della vita ma cosa ancor più importante è che può essere sviluppato, allenato al fine di migliorare le nostre performance quotidiane, anche perché no al lavoro o in famiglia.

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